Presupposti di qualità nella pianificazione
Si sta affermando, recentemente, la certificazione di qualità, verso oggetti, merci, prodotti in genere, come procedimenti, enti o servizi.
Il procedimento della certificazione vuole garantire la qualità, laddove la legge di mercato non appare sufficiente. La qualità viene garantita attraverso la certificazione d’origine: nel sistema artigianale si verifica di persona e direttamente, nella società moderna ci dobbiamo affidare ad un professionista che verifichi per conto nostro.
Condizione essenziale è la assoluta garanzia di affidabilità del certificatore, come il “soggetto certificato” non può giocare a barare: sarebbe inutile procedere.
Ne consegue una naturale attitudine alla rivalutazione del concetto di “rigore”: non possiamo ragionare di qualità se non con intendimenti rigorosi. Possiamo provare ad applicare la procedura della certificazione di qualità ad una città o ad un territorio, a patto di essere in grado di potersi sottoporre a tale procedimento. La riconoscibilità dell’origine determina trasparenza nei programmi e rintracciabilità delle procedure decisionali fino agli effetti che ne scaturiscono.
Oggi possiamo affermare che nel nostro Paese, e anche nelle nostre zone, non si è operato, salvo ammirevoli e tanto più encomiabili eccezioni, per ricercare presupposti di qualità, con i risultati che sono sotto i nostri occhi. Non è facile che una comunità decida di anteporre l’obiettivo della qualità, che può risultare meno appagante rispetto al risultato immediato. Il territorio assorbe e restituisce, come uno specchio, tutte le contraddizioni e le culture di chi l’abita.
Ridefinire una strategia
Un punto di forza risiede nel fatto che le regioni dell’Italia Centrale sono riconosciute come uno dei territori di origine della forma città occidentale, in un processo miracoloso durato secoli che ha reso possibile un modello di equilibrio umano ed ecologico unanimemente riconosciuto.
Il modello si fonda su una forte interrelazione e funzionalità tra la Città, veicolo e codice di comunicazione fino ad assumere un valore simbolico alla scala continentale, e il suo territorio (Stato) “interno”, più o meno vasto, ma strettamente relazionato alla Città.
Perdipiù, la riconoscibilità dei territori dell’Italia centrale è strettamente connessa con il complesso strutturato di città, di piccola dimensione ma di grande significato, che formano ciascuna una individualità particolare, ma anche un forte sistema integrato: una rete.
Il punto di debolezza risiede, paradossalmente, nella scarsa consapevolezza degli stessi punti di forza: scarsa consapevolezza da parte dei cittadini e dunque degli amministratori locali.
All’orgoglio di rappresentare un modello, si è sostituita l’accettazione della subalternità ai sistemi urbani “forti”, insieme ad un tentativo spesso goffo di modernizzazione in una gelosa diffidenza campanilistica delle proprie presunte tradizioni. Tutto il contrario delle ragioni profonde che hanno consentito la fondazione originaria.
Perdipiù il processo di accentramento politico e burocratico dello Stato Moderno ha vanificato le opportunità locali; il vecchio modello non è stato sostituito da nulla, con il risultato che è difficile progettare il proprio futuro recuperando le opportunità locali che spesso sono dissolte.
La decadenza ha comportato la perdita della “sacralità dell’ambiente e del territorio” nella cultura quotidiana. La sacralità non prevede distinzioni tra pubblico e privato; tutto concorre alla definizione di una sola identità.
Quali prospettive
Più che sviluppare, il problema di oggi è quello di recuperare relazioni di rete, ormai in via d’estinzione. La ricostituzione di pratiche di rete fondate su programmi concreti da definire di volta in volta, rappresenta l’unica alternativa ad un destino di definitiva perdita di ruolo e degenerazione campanilistica. La qualità di una politica territoriale è il primo ambito operativo su cui si può impostare un progetto di riqualificazione e valorizzazione locale.
Un interessante approccio propositivo potrebbe consistere nel lanciare alle città una “sfida” pacifica nello sperimentare forme innovative volte alla introduzione di strumenti di pianificazione testati sull’obiettivo della riqualificazione e dell’innovazione di qualità, e avviare nel concreto una riflessione sulle esperienze in corso. Tempo fa, la benemerita “Associazione delle città del vino” provò ad avviare una sorta di Carta per una gestione accorta del territorio delle città associate: era una interessante proposta che però in concreto poco ha prodotto. Tra il dire e il fare…
Pier Paolo Mattioni
Orvieto, 3 febbraio 2001